
Quando molti anni fa, curiosando in una libreria di Milano, incrociai questo microscopico libro e cominciai a sfogliarne le pagine mi si raggelò il sangue.
A seguito dell’armistizio del settembre ‘43 la divisione corazzata Leibstandarte -SS Adolf Hitler proveniente dal fronte russo fu inviata sul lago Maggiore per proteggere l’accesso alla frontiera Svizzera al fine di impedire la fuga di soldati italiani. In un brevissimo lasso di tempo, ossia tra il 15 settembre e l’11 ottobre, furono trucidati complessivamente 54 ebrei tra il lago Maggiore ed il Lago d’Orta, i nominativi dei quali furono ottenuti, secondo la bibliografia ufficiale, con la collaborazione degli uffici comunali.
Fu un pugno in pieno viso. I miei nonni, i miei genitori vivevano a Milano in tempo di guerra, si trasferirono nel ’64, dopo la nascita di mia sorella: ci può stare che non sapessero. Io però ad Arona ho frequentato elementari, medie e liceo diplomandomi nel 1985, tanto tempo fa, concordo, ma comunque sempre 40 anni dopo lo svolgersi di tali eventi.
Come era possibile che nessuno mi avesse mai raccontato questa storia? Ricordavo quello che avevamo studiato sulla seconda guerra mondiale, i tanti libri letti, le molte parole da parte di professori di lettere, storia e filosofia, spesso decisamente “politicamente schierati”, ricordavo lezioni inerenti il nostro territorio in quel periodo, approfondimenti sulla Repubblica partigiana dell’Ossola e l’eccidio di Fondotoce, ricordavo assemblee studentesche, gruppi di studio, ma, nonostante tutto, nulla inerente questi fatti.
Fui presa da un desiderio ormai adulto di approfondire, leggere, capire catturata da una specie di tarlo che mi logorava: cercai in casa, tra i libri di papà solo un brevissimo accenno nella Storia di Italia di Montanelli, quasi come se tutto questo non riguardasse la nostra storia, non riguardasse l’Italia, non riguardasse noi. Mi recai pertanto nella mia solita libreria chiedendo un testo (M. Nozza, Hotel Meina. La prima strage di ebrei in Italia, Milano 1993) e sentendomi rispondere dal mio amico occhialuto che il libro lo conosceva ma che non era disponibile; rimasi esterefatta e dissi che non mi sembrava normale non trovare proprio li un libro che parlava di una evento importantissimo delle nostre zone. Ricordo ancora lo sguardo e le parole: “non hai idea, io ci ho anche provato, ma la gente di qui queste cose non le vuole né ricordare né sapere”.
Me lo procurò, vi trovai alcune risposte e, da allora, non ho più smesso di cercarne.
Vorrei sbagliarmi ma penso seriamente che l’ignoranza in cui siamo cresciuti sia figlia in parte della vergogna ed in parte dalla paura; la vergogna di molti per non aver fatto qualche cosa, tranne che in rare eccezioni, per difendere quelle persone, molte delle quali facevano parte da sempre della comunità, erano amici, colleghi, compagni di scuola, e la paura di alcuni di essere scoperti nelle proprie piccolezze, nelle delazioni e collusioni, nei sotterfugi di una zona di frontiera dove stava passando una grande ricchezza: ebrei destinati alla morte e pertanto disposti a cedere ogni proprio bene pur di mettersi in salvo raggiungendo la Svizzera.
So che nell’ultimo decennio qualche cosa in più è stato fatto, intestando edifici, facendo conferenze, raccontando la storia dei pochi sopravvissuti: penso tuttavia che l’omertà degli anni in cui la mia generazione avrebbe dovuto essere formata alla consapevolezza civica e storica sia stata gravissima in quanto ha reciso la linea del racconto con chi era stato li, camminando in quei luoghi ed incontrando quelle persone, ci ha impedito di confrontarci con chi aveva aiutato e, perché no, forse anche con chi aveva tradito perché la condivisione può lenire il peso di tanti peccati.
E alla luce di quanto accade oggi intorno a noi temo che continuando ad auto assolverci, a nascondere, a modificare la realtà, a seconda del nostro comodo, atteggiamento qualunquista certamente meno faticoso rispetto ad una reale ed oggettiva presa di coscienza, abbiamo perso l’opportunità di rimanere memoria vivente delle nostre colpe mettendoci pertanto in pericolo di compiere i medesimi errori domani.