M. IL FIGLIO DEL SECOLO Antonio Scurati

Mi spaventava approcciarmi a questo romanzo, in parte a causa delle dimensioni fisiche del libro, molto per il suo contenuto; così, per immergermi tra le sue pagine, ho atteso l’estate che mi regala sempre ore vacuamente morbide atte ad essere riempite con tutto quello che abbandono per via nei mesi frenetici delle altre stagioni.
Molto si è detto di questo libro, in primis che non sia un romanzo ma un saggio storico e pare che questa possa essere una colpa. Personalmente credo di aver letto un bellissimo libro di storia che l’autore ha avuto la capacità di scrivere con il linguaggio e la costruzione dei romanzi riuscendo ad avvicinare un pubblico che, come me, difficilmente si approccia a saggi e a biografie. Così, Scurati, con grande intelligenza, ripercorre gli anni tra il 1919 ed il 1924 in capitoli che si leggono con “voracità” e che terminano sempre con piccoli estratti di lettere, titoli di testate giornalistiche, telegrammi, documenti che come schiaffi in faccia ti riportano alla realtà e ti fanno pensare di aver letto come un romanzo avvincente una realtà storica sconvolgente.
Se dovessi descrivere l’emozione da me più frequentemente provata nella lettura l’unico termine utilizzabile è rabbia; rabbia per l’inettitudine della sinistra e le lotte intestine alla stessa che, a mio parere, moltissimo hanno contribuito ad aprire la via al fascismo, rabbia nel pensare che la sinistra italiana mai abbia davvero fatto un “mea culpa” assumendosi l’onere della propria cecità, rabbia nel vedere confermata la mia disillusione, che la storia nulla ci ha insegnato, che imperterriti ripetiamo gli stessi errori evitando sempre di assumercene le responsabilità.

Mussolini è come un animale, intelligente, istintivo, che fiuta l’aria del secolo in cui vive per raggiungere i suoi scopi «E quel che fiuta è un Italia sfinita, stanca della casta politica, della democrazia in agonia, dei moderati inetti e complici».

E si sa…i lupi sanno travestirsi per convincere un branco di pecore, soprattutto perché le pecore hanno memoria breve.