I miei primi approcci con la cultura cinese in letteratura furono i libri di Pearl S. Buck e, in parte, di W. Somerset Maugham con “Il velo dipinto” e “Acque Morte” ma Mo Yan è stato l’autore che realmente mi ha permesso di entrare più in profondità in un universo di cultura così tanto dissimile dalla nostra da risultare da una parte incomprensibile e, dall’altra, affascinante ed avvolgente destando così in me una curiosità infinita per quel mondo. Tutti i libri da me letti di questo autore hanno sempre abbinato una fascinazione ad una difficoltà di comprensione, non tanto del testo in sé, anche se non si tratta mai di una scrittura fluida e semplice, quanto dei secoli di storia, tradizione, cultura e miti che, a mio parere, è davvero difficile per noi occidentali assimilare e, spesso, condividere. Anche per questi motivi ritengo che in nessun libro scritto da un occidentale potremmo trovare un così profondo equilibrio tra orrore e poesia come quello che si nasconde tra le pagine del “Supplizio del legno di sandalo”, un equilibrio tra due pilastri della cultura cinese, il teatro e la tortura con continui passaggi dalla commedia al dramma, dalla spaventosa concretezza del reale alla soavità dell’immaginazione, alla potenza del sogno, all’indipendenza della fantasia ed all’intensità del desiderio. Sono i primi anni del ‘900, siamo nel distretto di Gaomi, nella provincia dello Shandong, luogo-simbolo per lo scrittore che ne fa una sorta di archetipo del Paese; la Cina è squassata da un caos politico che precederà la fine della dinastia imperiale Qing ed imperversa la rivolta dei Boxer sollevata dalla Società dei Pugni e dell’Armonia contro la presenza colonialista delle potenze straniere. In questo contesto Mo Yan narra la storia di Sun Bing, ex attore e cantante dell’opera dei gatti, che si ritrova, quasi inconsapevolmente, alla guida di un gruppo di ribelli decisi ad affrontare, in una lotta impari, i soldati tedeschi impegnati nella costruzione della ferrovia per la quale sono espropriate terre ai contadini della zona; Sun Bing sarà catturato e condannato a morte per mezzo del supplizio del legno di sandalo appunto, compiuto ad opera del suocero, il boia imperiale Zhao Jia che, con arte ed esperienza, uccide infliggendo il massimo dolore possibile perché quello che le alte gerarchie dell’impero vogliono è proprio che egli cessi di essere persona per divenire strumento principe dell’oppressione. Una storia d’amore, dolore, ribellione e tortura, un microcosmo di personaggi perfettamente definiti e descritti che consente all’autore una narrazione a più voci e a noi di entrare in sintonia con ciascuno di essi e di comprenderne, almeno in parte, il motore trainante ed i tormenti che ci troviamo a condividere con la bellissima figlia di Sun Bing, Sun Meiniang, dai piedi grandi perché mai fasciati come da tradizione, il di lei marito nonché figlio del boia, ed il magistrato Qian Ding che ama sinceramente il suo Paese e nutre una passione travolgente per Sun Meiniang. E la magia del racconto si sviluppa anche attraverso la combinazione tra l’uomo e l’animale, umanizzato grazie alle mille similitudini di cui è ricca la lingua cinese: il topo coraggioso che lecca il culo al gatto, il rospo che da solo vuole reggere un letto, i draghi che si divertono con le perle. Uomini che diventano animali grazie ad un magico baffo di tigre, il boia, che è una pantera nera dai lucidi e inesorabili artigli, la giovane e disinibita moglie vista come un’enorme serpente bianco che ti avvolge soffocandoti con le sue spire, cani, maiali, lupi, scimmie, orsi, che sono uomini sia quando se ne riesce a vedere magicamente la vera natura sia quando ci si traveste per recitare i racconti eroici della tradizione.
“Le lunghe descrizioni dei terribili supplizi che si trovano in questo libro hanno lo scopo di far conoscere al lettore la barbarie e gli orrori che si sono verificati nel corso della storia, per risvegliare in lui un cuore compassionevole”, così l’autore scrive nella nota pubblicata alla fine del libro. È la verità: le descrizioni sono talmente reali, dettagliate e raccapriccianti che credo sia inevitabile, a tratti, sospendere la lettura, respirare, forse asciugarsi una lacrima, provare un senso reale di nausea e farsi prendere dal desiderio di desistere ed abbandonare. Ma non è che le cose che non guardi, non leggi, non approfondisci non esistono, semplicemente a, volte, manca il coraggio per volerle vedere, per cui si, credo che per arrivare alla fine di questo libro ci voglia un po’ di coraggio, l’accettazione della crudeltà dell’uomo che in parte sta in ognuno di noi; perché tra i personaggi e la violenza, che è poi anche la vera protagonista di tutta la storia, spicca la denuncia dell’apatia di chi al male assiste senza fare nulla e questa credo sia una malattia che affligge anche la nostra società.

