Loreta Asanavičiūtė era una ragazza da far innamorare. Aveva capelli neri, leggermente ondulati, di lunghezza media, con la riga a sinistra. Occhi scuri, sopracciglia folte e dritte e una bocca che non passava inosservata, con labbra piene, ben definite. Era minuta, con un collo lungo e sottile. La cosa più toccante era il suo sguardo serio… Doveva avere un carattere tranquillo, timido e introverso.
Da Anime Baltiche di Jan Brokken
Loreta era nata il 22 aprile del 1967 a Vilnius a quel tempo capitale della Repubblica Socialista Sovietica di Lituania.
Nel 1944, al termine del conflitto mondiale, i Paesi Baltici persero la propria indipendenza ed entrarono a far parte stabilmente dell’Unione Sovietica dato che quest’ultima sostenne che il Patto Molotov-Ribbentrop per la loro annessione fosse già stato stipulato con la Germania nazista prima dell’inizio delle ostilità e negando, pertanto, che ci fosse stata un’occupazione dei Baltici. Gli Stati Uniti e la maggior parte degli stati vincitori non riconobbero mai all’URSS l’annessione, tuttavia non fecero nulla per opporvisi limitandosi a mantenere presenti nei territori occidentali le ambasciate dei tre Paesi.
Il 23 agosto 1989, esatto cinquantenario della firma del patto Molotov-Ribbentrop, Lituania, Lettonia ed Estonia diedero al mondo una colossale dimostrazione di unità: la Via Baltica, Baltijos kelias, concretizzò quello cui gli organizzatori ed il movimento indipendentista Sajūdis stavano lavorando da poco più di un mese. Due milioni di persone, un quarto circa della popolazione delle repubbliche baltiche dell’epoca, scesero per le strade cantando, tenendosi per mano, portando fiori e nastri da lutto sui costumi popolari per commemorare le vittime della repressione. Più di 600 km di una catena ininterrotta di mani unite ad unire le tre capitali, Vilnius, Riga, Tallinn e, tra quelle, anche le mani di Loreta.
Nei mesi di gennaio e febbraio del 1991, a Vilnius, la protesta contro il regime si intensificò e si svolse prevalentemente davanti alla Torre della Televisione che venne occupata allo scopo di diffondere il messaggio libertario. I rivoluzionari erano disarmati. Nella notte tra il 12 e il 13 febbraio, Loreta era di guardia alla torre con due amiche; nella stessa notte Vilnius era occupata dai carri armati inviati da Gorbacëv per reprimere la rivolta. Dinnanzi alla folla pacifica ed in diretta televisiva ininterrotta, il governo sovietico si vide costretto a richiamare i blindati, non prima, tuttavia, di aver lasciato a terra quattordici vittime, tra le quali Loreta. Si racconta che, al suo arrivo in ospedale, ella fece in tempo a porre due semplici e disarmanti domande: “Dottore sopravvivrò? Potrò ancora sposarmi?”. Poi morì. Aveva 23 anni.
Loreta aveva soltanto un anno meno di me; chissà, se non fosse morta in questo mio viaggio avrei potuto incontrarla in un negozio, come guida ad un museo, per strada, con i suoi figli. Avrei potuto incrociarla in un qualsiasi aeroporto, finalmente libera, finalmente Lituana, finalmente Europea. Ci saremmo potute conoscere in un altro viaggio, in un diverso continente ed avrei potuto guardarla negli occhi e vedere il suo orgoglio per aver lottato e contribuito a costruire la sua Nazione nonché a rivendicarne l’appartenenza all’Unione Europea ed alla Nato, baluardi a difesa di quell’indipendenza tanto duramente conquistata la quale, ancora oggi, deve fare i conti con la minacciosa vicinanza della Russia di Putin, che non ha mai nascosto di considerare tuttora i baltici parte della propria “sfera d’influenza”. Avremmo potuto parlare di tante cose, credo. Mi domando, però, cosa avrebbe pensato di partiti sovranisti quali la Lega, il Rassemblement National, l’Alternativa per la Germania o il partito delle Libertà Austriaco che si dichiarano vicini al presidente Putin nelle questioni dei rapporti con la Russia e se non avrebbe guardato con paura all’aumento del consenso di EKRE in Estonia. Chissà se avrebbe condiviso con me l’idea che quella ottusa e cieca parte di Europa che si sta lasciando incantare da una retorica del tutto priva dell’idea di solidarietà e che guarda con occhio accondiscendente, se non addirittura complice, agli innumerevoli episodi di razzismo ed intolleranza dimostra che poco ha davvero imparato dagli orrori del passato e che, in tal modo, sta permettendo a quella stessa retorica di cancellare dal nostro DNA la capacità ed il coraggio di creare una catena di mani a difesa del nostro futuro e della libertà.