Bilanci e sorrisi

Sono stata assente a lungo da questo mio povero blog, lo so; ho continuato a raccogliere pensieri sparsi su carta, tra le pagine di un libro, un postit volante e il mio piccolo quadernetto sgangherato ma non li ho più deposti qui.

Non è stata mancanza di tempo, forse solo questione di priorità, ma in questi quasi due anni tanto è cambiato per me e in me da assorbire in toto le mie attenzioni e cure. Ora, come spesso accade a fine anno, posso fare un bilancio e dire a me stessa che in questo momento della mia vita più che in ogni altro, mi sento grata per ciò che mi è stato dato e orgogliosa per quanto sono riuscita a fare.

– La mia famiglia ed i pochissimi veri amici, sempre presenti a dare amore, fiducia, coraggio.

– Un lavoro nuovo, completamente diverso, per il quale non avevo competenze e che qualcuno mi ha voluto comunque offrire dandomi una nuova opportunità. Una bella sfida a 57 anni arrivare in un ambiente dove sei la “novellina” che deve imparare tutto da zero ma che ventata di entusiasmo, di curiosità, quanto ossigeno per i miei neuroni sopiti! Lo rifarei? Si, mille volte, per le persone con cui lavoro, per ciò che ho imparato e tutto quello che ho ancora da imparare, perché la mia mente si sente più giovane e perché, ancora, non anelo alla pensione ma piuttosto ad una vita lavorativa equilibrata e ricca di soddisfazione.

– Una casa nuova, o meglio, il mio microscopico nido che sempre mi ha accolto in tutti i momenti della mia vita in cui avevo bisogno di curare le ferite, che si è trasformato, dopo due mesi di distruzione e “ressurrezione” diventando, come nei miei sogni, un ambiente luminoso e caldo che non riesco a smettere di guardare e dove anche il piccolo Brandy, gatto rosso e rustico sembra trovarsi davvero a suo agio.

Questi i miei bilanci e tantissima la serenità che oggi sento dentro di me. Non posso che ringraziare la vita sorridendo.

Suggestioni

C’est vraiment un lieu délicieux ce lac d’Orta. A l’entour, des rives à la fois sauvages et cultivées: le monde que le voyageur a vu, se retrouve en petit, modeste et pur, et son âme reposée le convie à rester là, car un charme poétique et melodieux l’entoure de toutes les harmonies, et réveille toutes idées. C’est à la fois un cloître et la vie. (Honoré de Balzac)

THE LOOK OF LOVE

La giornata è calda e assolata, profuma già di primavera. Sto facendo i mestieri ascoltando musica e, d’un tratto, mi  ritrovo nella palestra della mia scuola elementare, presso le suore Marcelline. Ho otto o nove anni, non ne sono certa, e sto per accingermi ad esibirmi nel mio primo saggio di ginnastica a corpo libero.

Ci sono diversi gruppi, naturalmente, e due hanno già concluso le loro performances. Per prime hanno brillato come astri poche bimbe snelle ed estremamente aggraziate che, apparentemente senza alcuna fatica, si sono librate nell’aria, tra salti e capriole, hanno eseguito ruote come fossero nobili pavoni e, sorridenti, si sono flesse armoniosamente in sincrono  creando figure meravigliose ed affascinanti.

Nel secondo gruppo si sono esibite quasi tutte le altre bambine; hanno eseguito ogni esercizio con grazia discreta, precise, coordinate, magari non superlative, per altri, ma fantastiche ai miei occhi.

E poi ci siamo noi, quattro esserini ai quali la natura non ha regalato articolazioni particolarmente flessibili e la cui armoniosità o non esisterà mai o non è ancora stata scoperta; costumini colorati a evidenziare gambette tonde, i nastri ed i cerchi nelle mani che tremano talmente da farli apparire dotati di vita propria. Il terrore nel cuore, terrore puro; la consapevolezza di non essere all’altezza, l’umiliazione del confronto, la timidezza che fa balzare il cuore in gola e sentire uno strano brusio nelle orecchie. E poi questa musica: tocca a noi. Scoordinate, sudate, i visi paonazzi; pochi esercizi a terra, perché di sfidare la forza di gravità proprio non se ne parla, gli occhi bassi per non dover osservare l’imbarazzo in quelli altrui.

Ed ecco che, invece, cerco gli occhi della mia mamma e lei mi sorride tanto che, appena terminato, tra una crisi di pianto che sta per esplodere come un temporale estivo ed un affanno che mi fa sentire come immersa in un lago di piombo corro tra le sue braccia. “Non siamo tutti uguali”, mi sussurra, “ognuno ha doti diverse ma l’importante è provarci e fare sempre del proprio meglio. Sei stata brava”. Le sorrido e mi sento leggera come una piuma.


Ritorno alla realtà e penso che…


You’ve got the look of love
It’s in your eyes
A look that time can’t disgui
se

La canzone dell’amore perduto

Ricordi sbocciavan le viole

con le nostre parole

“Non ci lasceremo mai, mai e poi mai”,

vorrei dirti ora le stesse cose

ma come fan presto, amore, ad appassire le rose

così per noi…

Noi per ora pare pensiamo alle primule, l’ennesimo megalomane ed inutile delirio all’Italiana…personalmente spero appassiscano prima di fiorire ché vedo come in altri paesi i vaccini si facciano ovunque, e comunque sarebbe buona cosa averli intanto, questi vaccini.

Per ora, come le primule, quelle semplici che nascevano spontanee nei prati una volta e non quelle in offerta al supermercato, diventiamo tutti belli gialli, che almeno distraiamo un po’ la gente dal caos imperante della nostra politica (volutamente con la p minuscola dato che il pedice qui non riesco a farlo) e la mandiamo serena a fare shopping con soldi che probabilmente non ha ma dando un premio se li spende con la carta di credito. Che figata!

E sarà la prima che incontri per strada

che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,

per un amore nuovo…

Resto in attesa vedere i prossimi baci, tra chi saranno.

Il Macchinone

Guido tanto, da sempre; attualmente la mia media è di 40.000 km/anno ma ho visto anche tempi peggiori. Non saprei dire se guido bene o male, ciò che posso affermare è che cerco di farlo in sicurezza, la mia e quella degli altri, perché so perfettamente che al mattino presto sono sempre assonnata e che la sera, spesso, la stanchezza e la testa piena di pensieri tendono a distrarmi da quello che sto facendo. Guido tanto da sempre e, da sempre, incrocio esemplari, diversi ma sempre uguali, dell’automobilista incazzato, un po’ alla Gioele Dix, del figlio di Senna o Schumacher, del tizio che sa guidare mentre tu no e di quello che ha la macchina grossa e si sente potente compensando, con ogni probabilità, altri limiti. Un tempo erano quasi solo uomini a comportarsi così, con la prepotenza e l’arroganza dei padroni della strada; oggi, tuttavia, sempre più spesso mi imbatto nella signora/signorina di turno che, con berlina o SUV nuovi fiammanti e dal costo superiore al mio appartamento, occhiali da sole anche se nevica e telefono in mano, (non capisco perché dato che persino la mia umile macchinina è dotata di un potentissimo vivavoce) ti si attacca al culo, su qualsiasi strada, con qualsiasi tempo e comincia a farti gli abbaglianti. A volte penso che se avessero una pala spartineve al posto del paraurti non esiterebbero a spazzarti via, altre ho la tentazione di sfruttare la mia bella assicurazione kasco tanto per il gusto di inchiodare e vedere cosa succede ma, per fortuna, non ho mai ceduto a tale lusinga.

Sto percorrendo la salita verso Dagnente dalla rocca di Arona; la strada è deserta, o almeno così mi appare. Primo tornante, secondo tornante, piccolo rettilineo e poi subito curva a sinistra, piuttosto stretta, davanti al ristorante; conosco queste strade a memoria. Non sto certo andando pianissimo ma, nonostante ciò, mi si materializzano all’improvviso dietro due altissimi fari: abbaglianti ripetuti, un colpo di clacson indisponente, un ruggito del motore e via, proprio sulla curva, un bel sorpasso che mi costringe a frenare. Respiro a fondo e, stranamente, non impreco: sto ascoltando alla radio un servizio che mi interessa e non voglio perdere il filo, assieme alla pazienza. E poi arrivo davanti al San Carlone. Il Macchinone è girato ed infilato tra il muretto ed il cartello che indica che la strada dall’altra parte è interrotta ed un tizio con il telefono in mano sta scendendo; non può ancora vedere il muso del Macchinone ma io si, e non è un bello spettacolo. Accosto, indosso la mascherina, abbasso il finestrino e proprio mentre lui osserva la sua opera d’arte gli domando: le serve qualche cosa? Un grugnito che interpreto come un “no grazie, molto gentile”. Rialzo il finestrino e mi dirigo verso casa con la netta impressione che il Borromeo mi stia facendo l’occhiolino.

Foto di Andreas Riedelmeier da Pixabay

Interazioni

Lo spazio ed il tempo. Osservo quella stella così luminosa e so, che se fosse molto distante, potrebbe essersi già spenta, tanto tempo fa. Davvero si possono trascurare le interazioni tra diversi pianeti? E noi non siamo forse come piccoli pianeti e corpi celesti che ruotano a distanza? Mi domando se la luce che mi attraversa arrivi da qualche cosa di vivo, che si è già spento o che non è mai stato.

Il portale

Si ritrovò a scrutare la sua immagine riflessa nella vetrina. Nulla di femminile, ormai, in quella figura: la schiena flessa, il viso scarno e marchiato da rughe profonde, il corpo, ammasso di pelle e di ossa, in quei vestiti logori ed informi che la ricoprivano senza donarle calore. L’olezzo che emanava non poteva sentirlo ma lo leggeva nelle smorfie dei passanti: era consapevole di odorare di sporco, di strada, di vino; sapeva di avere il sentore della povertà e della disperazione. Era stata una bella donna, un giorno, quando laureata e con un buon lavoro, aveva scelto di abbandonarlo per dedicarsi a Carlo e ad Elisa, quella piccola creatura fragile nata dal loro amore. C’erano stati giorni felici ed attimi di serenità ma erano tanto lontani da sembrare, a volte, più una fantasia che un ricordo. Un giorno suo marito se ne era andato; non le aveva chiesto la separazione, non le aveva parlato, semplicemente era sparito. Non seppe mai dove fosse andato, se avesse incontrato un’altra donna, se non fosse stato in grado di reggere il peso di quella figlia tanto debole e bisognosa di cure: lui scomparve dalle loro vite insieme al denaro, al suo cuore ed alle speranze. Lei lavorò presso una cooperativa di pulizie per pochi soldi, di giorno e di notte, per mantenere le cure costose a quella figlia, nessun altro con loro, nel bene e nel male. Non fu abbastanza ed Elisa volò in cielo in una mattina di tarda primavera. Ed in quel momento lei si perse come una piccola barca in un oceano agitato: nessuna certezza, cominciò a bere pensando di trovare nell’alcol un conforto alla disperazione incolmabile e smarrendo invece il contatto con la realtà, con le poche persone a lei vicine, perdendo il lavoro ed il rispetto per sé stessa. Nei rari momenti di lucidità pensava ai suoi sogni di ragazza senza capacitarsi di essere divenuta quello che ora era: una senza-tetto, un’anima sola in balia di quella enorme città. C’erano tante persone che si occupavano di dare da mangiare a quelli come lei: individui buoni e caritatevoli che dedicavano parte del loro tempo libero al servizio dei meno fortunati. No, non era difficile trovare un posto per mangiare. Ma dormire, quello si era un problema per tutti ma per le donne in particolare: i dormitori pubblici erano sempre troppo pieni di gente e di pericoli, le stazioni controllate dalla polizia, le metropolitane chiuse con quelle sbarre fredde, che a toccarle veniva voglia di andare in prigione per avere almeno un letto in un posto caldo e sicuro ove distendersi e, finalmente, riposare davvero. Ma nonostante tutto lei non si era mai venduta, non aveva mai rubato, aveva fatto del male, certo, ma solo a sé stessa. E così, ogni notte, cercava un posto nascosto e diverso dove, tra quei cartoni che non abbandonava mai, poteva assopirsi a tratti, mantenendosi vigile, quando il vino bevuto non era abbastanza per farle perdere completamente il controllo. Quella era la notte di Natale e cominciò a nevicare; aveva tanto freddo e necessitava di un posto per ripararsi. Vide tutte quelle persone all’esterno dalla chiesa; entrò, a passi lenti, con grande rispetto. Le luci basse, il profumo d’incenso, le candele che si riflettevano sugli ori delle cornici e degli addobbi, quelle panche di legno, dall’aria sicura. Frammenti di ricordi remoti provenienti da tempi lontani: quel prete che parlava a voce bassa e convinta… “…Fede, speranza, carità…”, …”la Casa del Signore”…”… Beati gli afflitti, perché saranno consolati”. Si assopì. Poi, d’un tratto, il silenzio ed uno strattone al braccio.


“Esci da qui, devo chiudere”.

“La prego, ho tanto freddo e tanta paura…”

“Vattene barbona, questa è una chiesa, un luogo sacro, non è un posto per dormire!”

Appoggiò la schiena stanca a quel portale ormai chiuso che raccontava tante storie: c’erano un uomo nudo in mezzo alla piazza che regalava i suoi vestiti ai poveri, un cavaliere che smontava dal destriero per porgere il mantello ad un vecchio, una donna che asciugava dei piedi con i propri capelli. Si addormentò e vide, in mezzo a tanta luce, Elisa che le porgeva la mano. Sorrise appena in quel freddo ormai mortale: finalmente sarebbe stata di nuovo libera.

Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. (Luca, 12, 47)

Foto di Anne-Onyme da Pixabay

Natale

Per me quest’anno non è stato negativo. Impegnativo, quello si, scandito da ansie, solitudini, dal tempo, talvolta concentrato ed altre dilatato di mesi strani che, pur restando immobili, sono comunque volati. La fatica maggiore è stata quella di sopportare e gestire la distanza dalla mia famiglia che però non si è mai trasformata in distacco perché quello che è dentro di te non si allontana mai, il dolore più grande quello di vedere così poco la mamma, e, soprattutto, di non poterla stringere a me per farle sentire più forte la gratitudine per il suo grande amore perché, anche a cinquantaquattro anni, proprio come l’acqua di un fiume che non sceglie il suo corso ed il suo destino, ogni gioia ed ogni dolore arrivano a lei il cui sesto senso non è stato minimamente scalfito dall’età e la cui generosità ha sempre abbracciato noi figli infondendo coraggio, fiducia, speranza. Per me quest’anno non è stato negativo perché ho sempre sentito forte l’affetto dei miei fratelli, ho avuto molto vicina un’amica speciale che mi conosce abbastanza per sapere che, quando non sto bene, mi chiudo a riccio e mi lecco le ferite e riesce ad essere presente con delicatezza e solida costanza anche se i nostri “ritmi vitali” sono talvolta così diversi, ho avuto piccoli viaggi e una bella vacanza, attimi di vera gioia che mi hanno regalato una me che credevo dimenticata, sogni, un pezzetto di passato che ha fatto capolino lasciando domande prive di risposte ma che, con mio grande sollievo, ho scoperto essere dentro di me ma di essere capace di non insistere per trattenere. Ho avuto un lavoro con scontri, anche violenti, insoddisfazioni e qualche gratificazione. Ho imparato a conoscermi un po’ di più e a perdonarmi alcuni dei miei limiti. E sono arrivata qui, un pochino più vecchia, un pochino più consapevole con una nuova voglia di addobbare, finalmente, la mia casa ed il mio cuore a Natale.

Caro Babbo Natale

Caro Babbo Natale, il 10 Dicembre 2009, tanto tempo fa, in un altro mondo ed un’altra vita scrissi il seguente post:

Sono seduta al tavolo, in braccio la mia nipotina che compirà tre anni tra pochi giorni. Stiamo disegnando.

– zia Micky….

– si?        

– ma Goccia ( il mio gatto) abita con te?

– certo tesoro

– e pecchè?

– perché così ci teniamo compagnia

– … zia Micky…

– dimmi…

– ma non preferisci un uomo?

– (azz….)…amore, sai, bisogna trovare l’uomo giusto

– …e tu ceccalo…

– (dici niente…) e come lo cerco tesoro, come il tuo principe ranocchio?

– ma noooooo…quello e trooppooo verdeeee…

– lo cercherò tesoro, ma non so se sarà facile trovarlo

– e tu chiedilo a Babbo Natale, noooo?

Caro Babbo Natale, è un po’ che non ti scrivo ma ora, a seguito di sollecitazione da parte di una dolcissima fanciulla, mi accingo a farti un’umile richiesta. Desidererei un Uomo e so che la maiuscola limita già molto il tuo campo di ricerca. Giustamente ti servirà qualche informazione: se dicessi vorrei un bambola potrebbe arrivarmi una Pigotta, un Cicciobello, una Barbie o una Bratz, e c’è senza dubbio una bella differenza. Stante la U sarebbe necessario un principe assolutamente non verde, non nero, e non scherziamo neppure nel cercare di rifilarmelo azzurro; la colorazione dovrebbe tendere al rosso non essendo tuttavia vincolanti la falce ed il martello. Dovrebbe essere una Persona (troppe maiuscole…vabbeh…fosse facile mica disturberei te), intelligente, onesta, attenta agli altri, curiosa della vita, che non si stanchi di imparare e di stupirsi, qualcuno che sappia sorridere e godere di ciò che di bello ha ma che non pensi sia un reato mettere in luce anche le proprie debolezze e cercare l’appoggio in chi gli sta vicino, quando necessario. Vorrei una Persona che esca dagli schemi di questa società in cui si consumano oggetti e persone, creando rifiuti, qualcuno che ancora creda che per conoscersi ed imparare a volersi bene occorra prendersi per mano e cominciare a camminare fianco a fianco, raccontandosi, creando intimità e complicità e pazientando, a volte. Vorrei qualcuno che ami davvero la vita, in tutti i suoi colori, che stia lontano quanto possibile dai pregiudizi e che non abbia troppe certezze…i mai ed i sempre non riesco ad applicarli alla mia esistenza. Vorrei qualcuno che rida e, se proprio necessario, pianga con me, che rimanga vicino, nonostante la distanza, che come me creda che la vita sia troppo bella e breve per sprecarla in rapporti inutili e sterili…forse …un raccoglitore di scintille.

Ora, caro Babbino, il tuo regalo mi fu recapitato dopo 9 mesi e già questo periodo, simil gestazione, avrebbe dovuto farmi sorgere qualche dubbio. Che io veda cose inesistenti nelle persone e che sia stordita lo sanno anche i sassi ma una tale taroccata da te non me la sarei mai aspettata, quindi, ecco, ti ringrazio, per quest’anno sono a posto e, facciamo pure, anche per il prossimo ventennio.

Foto di Judith Crowell da Pixabay

Dodici passi

Molti anni fa conobbi un uomo, un ex alcolista anche, se a suo dire, e non ho nulla per cui dubitare di ciò, non si è mai ex, si resta dipendenti lottando ogni giorno per vincere la battaglia. Credo veramente sia così; le dipendenze fisiche, affettive, mentali non si cancellano, si combattono, a piccoli passi, giorno dopo giorno. Nel mio disequilibrato equilibrio penso di avere diverse forme di tendenza alla dipendenza ed alcuni comportamenti ossessivi-compulsivi per cui dedico ogni giorno un attimo di riflessione a queste mie debolezze per imparare ad accettarle, ove possibile, ed a combatterle, quando utile. Quell’uomo era molto intelligente, colto, interessante; credevo di aver instaurato con lui un rapporto di amicizia e forse, nonostante le nostre reciproche debolezze, è stato veramente così e ci siamo voluti bene ma un giorno ho sentito che la fiducia che stavo riponendo in lui era in pericolo e, piano piano, ci siamo allontanati, fino a perderci. Oggi, che più cose ho compreso di me stessa, mi piacerebbe che lui sapesse che conservo ancora quella scatolina con inciso 12 e la croce che, sembrerà assurdo, rischiai di perdere in moto e presi al volo proprio il giorno in cui mi comunicò che gli avevano trovato una brutta malattia ma, soprattutto,  il libretto degli alcolisti anonimi dei dodici passi che, anche se non sono un’alcolista, leggo spesso per riflettere e per riuscire ad affrontare, giorno dopo giorno, tutte le mie debolezze. Oggi mi piacerebbe che lui sapesse che il passaggio nella vita di un altro essere umano non è mai invano.

Foto di Лечение наркомании da Pixabay